martedì 26 febbraio 2013

9_"Al lamallo velde"


Giulio si sentì terribilmente solo.
Percepiva distintamente i demoni del rimpianto e della disperazione che lo stavano raggiungendo per rapirlo, conosceva bene quei due esseri e sapeva qual’era l’unica cosa che avrebbe potuto fare per sopportare la loro presenza senza impazzire: bere!
Decise di continuare a camminare nella stessa direzione di Laura pur tenendosi a distanza, non voleva che lei pensasse che la stesse seguendo, non avrebbe sopportato un altro sfogo da ragazzina isterica.
Camminando però non poté fare a meno che ripensare a quello strano incontro e chiedersi perché lui si fosse aperto così tanto con lei e in così poco tempo; le aveva raccontato parte degli avvenimenti che avevano segnato la sua vita e lei in cambio, gli aveva urlato di tutto… certo quel brutto incidente proprio non ci voleva ma che colpa ne aveva lui se chi veniva in senso opposto guidava come al  gran premio di Montecarlo?
“Ragazzetta ingrata…ingrata e fastidiosa” pensò, eppure non riuscì a eliminarla dai suoi pensieri fino a quando non trovò una vecchio osteria che dava sulla strada.
“Al ramarro verde” lesse a bassa voce pensando che fosse un nome strano, una volta entrato pensò che probabilmente nessuno dei gestori sapeva pronunciare il nome del loro locale correttamente: erano tutti cinesi.
“Al lamallo verde… anzi no, al lamallo velde” si corresse mentalmente e con un cenno di saluto rivolto al cameriere si sedette ad un tavolo.




I demoni che si portava dietro e che poteva distintamente vedere sulla soglia dell’osteria lo controllavano a vista ma sapevano che, una volta davanti ad un bicchiere di un qualsiasi intruglio alcolico, loro non potevano dargli più fastidio, così, in quelle occasioni, aspettavano sempre che venisse cacciato fuori per ubriachezza molesta e che smaltisse la sbornia prima di tornare a tormentarlo. Anche per degli spettri interiori le energie vanno risparmiate!
Giulio ordinò da bere indicando una cosa a caso sul listino degli alcolici, appoggiò la testa alla mano e il braccio al tavolo, si sentiva ancora una volta una persona sconfitta.
Non aveva più amici da ormai un sacco di tempo e la solitudine lo aveva scavato rendendolo insicuro e ancora più goffo di quello che già era, invidiava molto quegli uomini d’affari tutti d’un pezzo che, come quello che stava entrando ora, sprigionavano sicurezza da tutti i pori.
“Due caffè ristretti in tazza grande grazie!” ordinò con voce sicura il giovane in giacca e cravatta che entrò al Ramarro verde, parlava con un uomo più grande di lui di età e di corporatura, l’altro ascoltava pazientemente senza perdersi un gesto del ragazzo rispondendo solo quando quest’ultimo gli dava la possibilità di farlo.
I demoni di Giulio fissavano questi due uomini e poi sorridendo tornavano a guardarlo come per sfotterlo leggendogli nella mente tutta la sua invidia.
Chissà cosa ci stavano facendo li quei due personaggi fin troppo eleganti che stonavano visibilmente con la vecchia tappezzeria del locale, “ecco qui a lei!” finalmente arrivò il drink che aveva ordinato e lo accolse con un sospiro di sollievo, alzò la testa sorridendo a sua volta alzando la mano con il bicchiere in direzione dei suoi tormenti, ogni tanto gli piaceva prendersi qualche piccola rivincita.
“Alla salute buon uomo!” Giulio non si rese conto che mentre compiva quel gesto sciocco, il giovane incravattato stava guardando nella sua direzione e vistolo gli rispose al volo.
Gli capitava di confondere la realtà con il suo cupo mondo di spettri personali ma quella volta l’aveva combinata grossa, non aveva proprio voglia di relazioni interpersonali eppure i due gli si stavano avvicinando. “Possiamo dare una letta al giornale?” “Giornale?” pensò Giulio guardando il tavolo “oh si certo!” rispose notando che aveva inavvertitamente appoggiato il gomito proprio sopra ad un giornale senza neppure notarlo.
Giulio lo osservò per bene dal fondo del bicchiere mentre stava bevendo e notò una scritta sul suo fermacravatta dorato: Armani; pensò “questo qui si che deve godersi la vita! Beh io bevo… alla faccia vostra brutti stronzi…” non fece in tempo a posare il bicchiere che entrò un altro uomo decisamente più grasso ma sempre elegantissimo e, con uno strano luccichio che gli balenava tra le labbra, chiamò a gran voce: ”Signore è arrivata la chiamata dobbiamo partire subito!”.
Il giovane fece cadere il giornale su di un tavolo con noncuranza mentre l’altro lasciava una banconota sul bancone del tavolo, uscirono in gran fretta oltrepassando i suoi demoni che, come ologrammi, si scomposero a metà per poi ricomporsi come nulla fosse, in fondo erano figure ben visibili e palpabili solo nella testa e nel passato di Giulio.

Michele Brugiolo

martedì 12 febbraio 2013

8_ Into The Wild


Ora era facile arrivare alla conclusione del perché fosse stato sbattuto dentro, tutta stava se credergli o meno, ma anche partendo dal presupposto di fidarsi e decidendo di non metterlo ancora una volta nei casini (ma quanta sfiga aveva intorno quell’uomo?) solo una era la cosa da fare, allontanarsi da lui (soprattutto dal momento in cui di altra sfortuna, Laura, non ne aveva bisogno).
“Ok, mi sa che ho capito cosa è successo poi… mi sa anche che sia meglio se ci lasciamo qui, anche perché avrai le tue belle grane da risolvere già con l’incidente e, giustificare la mia presenza a bordo della tua auto non sarebbe tanto facile… poi, senza offesa, ma era di un passaggio che avevo bisogno e per poco non ci ho rimesso le penne. È il caso di salutarsi qui.” “Sì, io ritorno all’auto… Cercherò di fermare la prima macchina che passa per strada, il mio cellulare è morto, gli si è scaricata la batteria diverse ore fa… a proposito, tu ce l’hai? Me lo puoi mica prestare?” “No, se avessi avuto un cellulare con me, ti assicuro che a quest’ora saresti già al fresco!” “Mi sento uno stronzo a lasciarti così, dopo l’incidente che ci è successo... per di più scalza… ma, non so proprio che altro fare e immagino che la mia compagnia anche a te non risulti più tanto gradita e ti sarebbe solo un peso… Tieni il tuo zaino! Allora… Addio?!?” “Direi proprio di sì… Addio e buona fortuna!”
Detto questo, Laura prese lo zaino e cominciò a rovistarci dentro, ricordava bene, ecco infatti spuntare fuori un paio di calzini pesanti, se li mise, si girò verso l’uomo e si salutarono per l’ultima volta, fece pochi passi nella direzione opposta a quella di lui che quasi subito gli urlò contro: “Ehi… Mi sai dire dove siamo? Non ho la minima idea di dove andare…”. Non si era resa conto di aver pronunciato quella domanda tanto spontaneamente le erano uscite di  bocca le parole, ma appena vide lui che le stava prestando attenzione, si sentì come morire, si vergognava a tal punto di fare la figura di quella che non era in grado di badare a sé, di non essere sufficientemente indipendente che il cuore le aveva preso a battere talmente forte da sentirlo in gola.
“L’ultimo paese che abbiamo passato era Governolo, ma dubito tu lo conosca. Stavo andando verso Mantova, mancheranno una quindicina di chilometri per arrivarci… Forse è il caso che ritorni con me verso la strada e chiedi passaggio a qualcun altro.” “Scusa, ma allora perché mi hai portata fino a qui, in mezzo al nulla? E poi… che persona sana di mente potrebbe farmi salire in macchina presa così, di notte e, anche se fosse, sai domande che mi farebbe? Poi magari passando vedrebbe anche la tua macchina fuori strada e potrebbe pensare chissà cosa… boh… penso di camminare un po’ e intanto cercare di schiarirmi le idee… almeno adesso so più o meno dove sono. Ciao.” “Avevi perso i sensi e mi ero spaventato, sei una ragazzina, non ci conosciamo ed io sono da poco uscito di galera… volevo solo evitare di venire, ancora una volta, incolpato di qualcosa che non ho fatto… Laura, buona fortuna!” “Grazie, mi sa che ne avrò bisogno.”.
Arrivata alla strada dove poco prima quel tale che le stava dando un passaggio aveva sbandato,  Laura decise di proseguire il cammino seguendo lo sterrato a fianco del fossato che costeggiava la strada, non le andava che qualcuno, passando in macchina, la vedesse, men che meno rischiare di finirci sotto a quella macchina.
Mentre camminava aveva iniziato a credere che il fatto di partire all'avventura in quel modo non era stata una delle sue scelte più geniali, forse aveva visto troppi film e ritrovarsi in una situazione tanto grottesca, idiota e insensata senza sapere cosa fare e con una fortissima tentazione di chiamare casa e farsi venire a prendere dall’ “amata” madre, la mandava fuori di sé. Possibile, con tutta la gente che poteva darle un passaggio l’unico coglione a fermarsi era un incapace e per di più di una sfiga mortale? Altro che Into the wild,  Into the shit



Per lo meno era stata previdente nel portarsi dietro tutti i risparmi che aveva racimolato
quell'estate.
Laura aveva sempre avuto una particolare attitudine con le lingue e quindi appena laureata la sua relatrice le aveva trovato un lavoro come traduttrice per una famosa casa editrice torinese lavoro che sbrigava da casa [scusate la cacofonia tra ice-ice e casa –casa, ndr], e che le garantiva una buona entrata economica. Soffrendo d’insonnia, questo lavoro era solita sbrigarlo la notte e avendo la giornata libera aveva deciso di impartire qualche ripetizione a ragazzini di medie e superiori e proprio quel lavoro da “insegnante” era stata l’altro fondamentale motivo scatenante di quella fuga. Più precisamente quel motivo si chiamava Gabriele e vestiva solo completi Armani, faceva il banchiere ed era per lei, l’uomo più affascinante che avesse mai conosciuto.

Brigitta Destro

martedì 5 febbraio 2013

7_Il dente d'oro


“Venerdì 9 aprile 2010 cielo parzialmente nuvoloso per presenza di velature con tendenza all'intensificazione della nuvolosità nel  tardo pomeriggio/sera.
Giulio, suo marito, era appena uscito di casa per recarsi al lavoro e, Lorenza, si stava freneticamente preparando per recarsi al suo.
Mentre trangugiava una banana ancora visibilmente acerba con la bocca piena di caffè amaro si truccava alla buona (evitava il più possibile di farlo perché questo le ricordava la madre sempre imbellettata e vestita come se un principe azzurro avesse dovuto rapirla da un momento all’altro, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno!).
Amava il suo nuovo lavoro, entrare in quella vecchia libreria di paese con tutti quei libri in disordine da sistemare, spolverare e consigliare. Adorava il loro odore e, sorridendo, spesso pensava che avrebbe dovuto trovare il modo per convogliare quella fragranza in un profumo dandogli magari un nome francese tipo “Eau de culture”.
Pur non essendo una grande mangiatrice, i libri che preferiva sfogliare nei momenti di pausa a lavoro erano quelli di cucina, adorava come la commistione di una semplice lista di ingredienti potesse miracolosamente animarsi nella sua testa per dar forma a quella pietanza così artificiosamente resa nella foto sottostante; li vedeva danzare su di un tavolo, volteggiare sopra le pentole per poi cuocere allegramente su fornelli dalle fiamme fucsia. Purtroppo però tutte le sue ricette avevano sempre lo stesso profumo: carta stampata.
Le giornate volavano veloci come la sua fantasia e pure quella non fece eccezione, alle 16 in punto, dopo aver salutato i suoi amati tomi, si diresse a passo sicuro verso l’uscita della libreria.
Chiuse la porta alle sue spalle salutando il proprietario con un gesto della mano e si mise a cercare nella borsa le chiavi del lucchetto della bicicletta.
“Dovrebbero inventare delle chiavi che galleggino all’interno delle borse, è mai possibile che riescano sempre a infilarsi nei meandri più oscuri e irraggiun…” un dolore molto forte alla spalla fermò la sua riflessione a denti stretti, si ritrovò a terra con gli occhi impolverati, li strofinò con vigore per vedere poi che un ladro stava scappando con la sua borsetta in mano.
Presa da una rabbia cieca si alzò di scatto mettendosi a correre come una forsennata per raggiungerlo, lei era allenata e quel malvivente sembrava un po’ troppo grosso per poterle sfuggire agilmente. Nonostante questa considerazione le sembrò che l’uomo stesse correndo ben al di sotto delle sue possibilità, quasi come se volesse essere raggiunto… non fece più di tanto caso a questo pensiero e si concentrò solamente nella corsa, ormai le mancava poco per raggiungerlo (ringraziò sé stessa per aver deciso di andare a lavoro in bicicletta e di aver quindi scelto calzature consone), il ladro svoltò bruscamente in un vicolo ma Lorenza non si fece fregare usando tutta la sua agilità per cambiare direzione, superò una serie di cassonetti e… si ritrovò l’uomo incappucciato con un passamontagna nero davanti… e non era solo.
In quel vicolo di quartiere dimenticato anche dai suoi stessi abitanti c’erano altri 2 uomini dal volto coperto ed una macchina bianca della quale non riconobbe la marca.
Senza battere ciglio il ladro gettò la borsa all’interno del bagagliaio della macchina e incominciò minacciosamente ad avanzare verso di lei.
Lorenza realizzò allora che il vero bersaglio dei malviventi non era la borsetta, ma lei! 
Che stupida era stata, doveva capirlo che quell'uomo non stava scappando ma semplicemente si stava facendo seguire allontanandosi dal centro abitato. Probabilmente sapevano chi era e da che famiglia proveniva potevano essere operai licenziati dal padre che volevano vendicarsi (aveva sentito parlare di situazioni di tensione tra i sindacati e i dirigenti della ditta del padre per i tagli al personale durante un TG regionale quella settimana), non poteva nemmeno escludere totalmente che fossero professionisti di rapimenti e che l’avessero adocchiata semplicemente perché era una bella donna pur senza sapere che gallina dalle uova d’oro fosse.
Tutti questi pensieri vennero increspati come uno stagno nel quale viene gettato un sasso dalla voce dell’autista della macchina, l’unico a essere seduto in macchina, a non essere mascherato e ad indossare abiti normali, anzi, da uomo d’affari. Disse attraverso il finestrino abbassato con voce bassa e cavernosa (probabilmente amplificata dallo stretto vicolo in cui lei stupidamente era andata ad infilarsi): “Due sono le cose… o vieni con noi senza fare storie e senza farti male, oppure provi a scappare e urlare… anche in questo secondo caso verrai con noi ma saremo costretti a farti del male… e a noi piace  molto fare del male… quindi ti prego, urla e prova a scappare!”
Gli altri uomini si guardavano tra di loro mutando l’inespressività dei volti coperti dai passamontagna in grottesche maschere sorridenti, ma solo il ladro che l’aveva scippata sorrideva con i denti e, Lorenza non riuscì a non notarlo, l’oro di uno dei suoi denti stava benissimo accanto al nero cupo del passamontagna e di tutta quella stramaledetta situazione.



Non disse nulla, semplicemente chinò la testa e, capendo l’impossibilità di fuggire, decise di entrare in macchina tra gli sguardi delusi dei malviventi, prima di salire però fissò con aria di sfida l’uomo con il dente d’oro per diversi secondi, questo le procurò un attimo di distrazione generale che le diede la possibilità di far lentamente scivolare il suo braccialetto di legno nero lucido per terra, ma le procurò anche un ceffone in pieno volto e le risate sadiche dei suoi rapitori.

Michele Brugiolo