domenica 12 maggio 2013

12_ Apple Records


"Possibile che senza di me non sai stare neanche un giorno?"  disse ridendo Laura infilandosi la t-shirt con stampata la mela verde e la scritta The Beatles. Gabriele seduto a bordo del letto, la guardava rivestirsi, le mani incrociate fra le gambe aperte, gambe nude, vestito solo dei boxer di cotone bianco e dei calzini scuri che arrivavano poco sopra la caviglia. Voltandosi verso di lui Laura, lo notò pensieroso ed era una cosa di lui che proprio non sopportava, lei che ora era letteralmente al settimo cielo per quello che ancora una volta c'era stato fra loro, mentre lui indossava un'espressione cupa e lontana. Gabriele si toccò il mento con la mano sinistra alzando lo sguardo verso il soffitto bianco della piccola camera di quell'alberghetto di provincia, cercando di evitare gli occhi indagatori di lei.
Presa la giachettina che era adagiata sulla spalliera della sedia Laura la tirò verso di lui con fare giocoso, cercando di coinvolgerlo in quella sua gioia "Il solito musone! ...dai che te la cavi ancora bene in certe cose!" "Me la cavo? E così me la cavo solo?" e intanto le afferrò il polso "Senti, senti la signorina Garbo... da quand'è che è diventata così esigente la piccola Lolo?", si alzò in piedi cercando di afferrarla a lui, mentre giocavano in quello che doveva essere una sorta di guardia e ladro, lei gli scappò dalla stretta, ma subito lui la prese di nuovo, stavolta in braccio e la sollevò da terra, anche se solo di qualche centimetro, visto quanto lei era alta. Poi la baciò sul collo e le disse: "Dai, vestiti. Che ti porto a mangiare in un posto qui vicino in cui sono stato qualche anno fa..."



I due si rivestirono lentamente assieme, in una sorta di danza, guardando in silenzio l'immagine che lo specchio grande quanto l'intera parete del bagno restituiva di loro. Poco alla volta, quella differenza d'età che lo specchio rifletteva si faceva sempre più evidente, indumento dopo indumento: una ragazzina in t-shirt e jeans a fianco di un uomo in giacca e cravatta

Al ristorante Gabriele ce la portò per davvero prima di condurla in quella vecchia fabbrica abbandonata che nonostante tutto conservava quel fascino lugubre che solo le costruzioni industriali di inizio secolo sanno trasmettere attraverso le loro pareti in calcestruzzo scrostato ed altre di mattoni su cui piante rampicanti si aggrappano scavando la malta polverizzata delle fessure che si interpongono fra mattone e mattone.
Al ristornate pranzarono fuori, sotto una vigna, anche se non la giornata non era una di quelle migliori, non era caldo ne c'era il sole, ma un cielo lattiginoso, di un grigio uniforme. Però fuori il piccolo cortile vestito dei colori autunnali meritava di sopportare un poco di freddo.
Bevvero molto, forse per scaldarsi, forse, entrambi, per non pensare. Poco alla volta, però anche a Laura salì la tristezza che accompagnava l'uomo che le sedeva di fronte a quel tavolo ben apparecchiato, che nonostante i suoi tentativi per mascherarla, continuava a conservare. Parlarono per lo più di sciocchezze, anche se lei pur conoscendo ciò a cui andava incontro, non potè sottrarsi dal sapere certe cose della vita di lui: come se la passava, come stava il ragazzino a cui aveva impartito lezioni di italiano, matematica, storia e scienze per più di due anni. Ma ciò che più le premeva sapere era come andasse il rapporto fra lui e sua moglie. E prevedeva cosa lui le avrebbe risposto, perchè molte altre volte si era avventurata in quei discorsi, nutrendo però sempre la speranza che le risposte di lui potessero cambiare, ma anche stavolta le frasi che gli sentiva pronunciare con la sua solita tranquillità e fermezza, erano sempre le stesse. E lo odiava in quei momenti, odiava il fatto che nonostante tutto lui continuasse a scegliere lei e di più ancora odiava che lui parlasse di quel rapporto, a lei, in quel modo. Per lui era normale non filtrare quello che le raccontava, si confidava senza il minimo scrupolo proprio come se la persona a cui stava raccontando certi dettagli della sua vita privata non fosse la donna che era innamorata di lui, ma solo un vecchio amico, senza pensare che ciò che diceva in realtà la ferisse. Lei intanto cercava di fare la forte, incassando in silenzio verità che le procuravano una sensazione simile a quella di essere trafitta da spade a cuore e stomaco. Terminarono il pranzo parlando di altro, ma ormai entrambi erano avvolti da un certo malumore che li attanagliava, anche se dal sapore molto diverso, lei quello di sentirsi una stupida, perchè nonostante tutto non riusciva a chiudere con un uomo che non l'amava, lui perchè si sentiva uno stronzo a farle questo e molto presto di peggio.

Brigitta Destro

sabato 20 aprile 2013

11_5 dita


“Sali pure!”
Il portone di ferro si aprì automaticamente cigolando solo dalla metà dell’apertura e si richiuse dietro alle spalle di Giulio con un rumore sordo.
Le scale malamente illuminate che collegavano l’entrata di servizio al primo piano di un’ex fabbrica di suole per scarpe, chiusa per fallimento più di 4 anni fa, scricchiolavano sotto i suoi piedi.
Arrivato al pianerottolo si vide accolto da una guardia molto più alta di lui che dopo averlo riconosciuto lo accompagnò lungo il corridoio illuminato a giorno da delle luci a neon bianchissime, tanto che Giulio capì il perché degli occhiali da sole della guardia.
Arrivati alla penultima porta la guarda si fermò dicendo: ”Aspetti un attimo qui signore” entrò nella stanza e subito dopo ne uscì facendo cenno di entrare.
La stanza era assolutamente anonima, probabilmente un ex ufficio che non veniva riaperto da tempo con un computer portatile funzionante su di una scrivania impolverata.
Giulio si sedette tossendo rumorosamente e pensando che, una volta o l’altra, sarebbe morto a causa dell’asma.
Una volta seduto si sfilò il braccialetto nero che portava nascosto dalla manica della camicia e lo diede alla guardia che uscì dalla stanza chiudendola a chiave.
Giulio si sgranchì le gambe e si massaggiò il volto indolenzito dallo stampo delle cinque dita di Laura felice che il metodo comunicazione ideato dall’organizzazione non comprendesse l’approccio visivo.


Sentì oltre la porta altri passi e un’altra serratura chiusa con sicurezza “ok ora ci siamo tutti”.
Lo schermo del pc si accese da solo e ne fuoriuscì una voce evidentemente effettata: “benvenuti, vi ringrazio per essere nuovamente tutti presenti e per aver accettato il nuovo sistema di comunicazione, comprendete bene che dopo l’ultimo tentativo di infiltrazione era necessario avervi tutti qui fisicamente con la possibilità di verificare l’autenticità dai braccialetti dell’ordine. Come avete notato le vostre voci saranno schermate e uscirete dalla stanza uno alla volta senza il pericolo di potervi vedere in faccia, non preoccupatevi della guardia che avete incontrato sulle scale, è un uomo fidatissimo e all’oscuro dei nostri piani. Vi ho convocati perché è tempo di passare nuovamente all’azione. Il governo si ostina a non voler trattare con noi nonostante gli ultimi attentati e allora io dico colpiamo più in alto! Vi ricordo come la nostra organizzazione punti a vendicarci del sistema che ha assassinato le nostre famiglie e ad instaurare finalmente la più giusta delle democrazie: l’anarchia!”
Ci fu una lunga pausa prima che la voce metallica ricominciasse a ronzare “ il nostro prossimo obbiettivo sarà la famiglia più ricca e potente del nord-est, visualizzate i documenti che avete sul desktop e salvateli nelle vostre chiavette, quello è il nostro obbiettivo: la figlia della famiglia Garbo si chiama Laura. Tra i documenti troverete gli indirizzi delle proprietà di famiglia . Dividetevi e rapitela in modo che possiamo usare i suoi genitori per contattare le alte sfere del senato notoriamente vicine ai Garbo. Ognuno di voi ha de luoghi da controllare. Portatela al solito posto stando attenti alle scorte che solitamente la accompagnano…” “Scusi se la interrompo ma penso sia inutile dividerci per cercarla, penso di poter svolgere questo compito da solo” interruppe Gabriele suscitando un brusio di sottofondo da parte degli altri sconosciuti in collegamento “Perché pensi di riuscire da solo? Hai visto quante sono le proprietà dei Garbo e quanto frequentemente si spostino?” “Si ho visto, conosco la famiglia e ho frequentato la ragazza tempo fa.” “Interessante, quindi sapresti dirci delle sue abitudini e dove possiamo concentrare le forze per rapirla cogliendo di sorpresa la sua scorta?” “Meglio!” sussurrò Gabriele massaggiandosi la guancia dolorante per il tatuaggio a 5 dita procuratogli dalla ragazza in questione “so dove trovarla… ora… e senza scorta!”

Michele Brugiolo

sabato 30 marzo 2013

10_ Ai Gonzaga


“Quel zainetto rosa mi è famigliare... però, che gambe..!”, pensò fra sé Gabriele, ci mise un poco, nell’oscurità della notte, a mettere a fuoco quella figura che stava attraversando la strada. Ci mise un po’ soprattutto perchè mai avrebbe immaginato che lei si potesse trovare nel cuore della notte lungo una strada, proprio quella strada. Era il classico momento in cui, guardando un telefilm di serie zeta, vista la proverbiale coincidenza dei fatti, ti trovi a pensare: “fatalità!”.
“Ehi, accosta! Accosta!”, Gabriele scese in fretta dall’auto e rincorse la ragazza, non si era sbagliato affatto, era proprio lo zaino che due volte la settimana vedeva appoggiato alla sedia del suo soggiorno, era l’Invicta di lei. 

Lo-Lo” le bisbigliò piano, Laura sentendosi chiamare così, sentì il cuore fermarsi per qualche secondo per poi ri-cominciare a batterle all’impazzata, un nodo le si era stretto in gola, si era paralizzata, non riusciva nemmeno a girarsi verso quella voce. Lui le afferrò il braccio voltandola verso di sé, “Lo-Lo! Ma, ma sei tu! Ma come sei ridotta? Stai bene? Che ci fai qui sola a quest’ora della notte?”, Gabriele cercava d’incontrare con gli occhi quelli della ragazza, ma lei faceva il possibile per evitare lo sguardo di lui.  
“Dannazione! Non può essere possibile... Tanto valeva mi facessi un nuovo taglio di capelli!”, ancora una volta i pensieri avevano preso voce, contro la sua volontà. Il suo essere impulsiva era qualcosa di talmente radicato da manifestarsi continuamente: nelle scelte, spesso sconsiderate, che prendeva, nel decidere quali persone voleva o meno nella sua vita, nel modo di vestirsi e truccarsi, quel suo modo di parlare e persino di muoversi.
Perchè in quel momento quello a cui pensava era di non essere poi tanto diversa da qualunque altra
femmina, solo la sua magari era stata una scelta solo un po’ più “drastica” e non pianificata. Grosso errore quello, la non pianificazione.
Infondo è così, pensava, dietro ad ogni nuovo cambiamento c’è una storia finita in malo modo, c’è chi decide di fare un nuovo taglio di capelli a chi decide di “scappare”. Ok, magari non sempre, ma spesso è così.
“Perchè, scusa?!? Che ho che non va? ...ah beh dimenticavo che ho quasi ogni cosa a non andarti bene, che scema!” “Non essere ridicola! Guardati... fa un freddo cane e tu sei praticamente mezza nuda, sei sporca e per di più sei... sei scalza!”
Ogni volta con lui era la stessa identica storia, ormai non le riusciva neanche più di non fare la scontrosa, era il suo modo per proteggersi da quell’unica persona a cui, altrimenti, avrebbe lasciato fare qualunque cosa le chiedesse ed era ben conscia di questo, soprattutto di quanto pericoloso sarebbe stato per lei.
“Senti, cerca di non fare tante domande e portarmi al primo albergo che troviamo per strada... infondo un favore almeno, me lo devi...” “Ma sentila! E così ti dovrei un favore?”
D’altro canto, anche per lui era impossibile rimanerle indifferente, più lei si metteva sulla difensiva più lui aveva voglia di buttare giù quel muro che lei cercava di costruire. Era qualcosa di palpabile il potere che aveva nei confronti di quella ragazza e anche se si sentiva uno stronzo sapendo come le cose, ogni volta, sarebbero andate, non poteva fare a meno di provocarla per vedere se ancora una volta, nonostante tutto, lui non le era indifferente.
“Senti, tu e i tuoi cazzo di giochini psicologici del cazzo... Lasciami al primo albergo, punto!” “Sai che non ti ricordavo così sboccata... tranne in qualche situazione dove la cosa era ben gradita... dai salta su e non fare caso a quel scimmione che ho in macchina” A quelle parole il volto di Laura si accese di un rosso che solo la notte poteva nascondere. “Perfetto, come se non bastasse, ora mi tocca convivere anche con i ricordi di lui che mi tocca e fa tutto quello che certe situazioni vogliono si faccia e che lo fa pure bene.
Merda, troppo bene. Merda, merda, merda. Oddio... ora sento anche il suo profumo. Posso morire, ora. Laura sta calma, sta calma...” stavolta era riuscita a tenere per sè quei pensieri e cercava di controllare l’espressione del volto, perchè altrimenti un sorriso beota le si sarebbe stampato in faccia. Niente come vedere Gabriele poteva renderla felice, almeno per il momento, almeno poteva fidarsi della sua guida.
Laura salì nella lussuosa berlina scura, interni in pelle chiara, mentre di sottofondo riconosceva la musica preferita di lui, erano i The Strokes, non c’era dubbio, quella era “Heart in a cage”, ironia della sorte: la canzone di quando lei decise di dirgli che “Basta. La finiamo qui.”. E sempre una loro canzone aveva accompagnato il loro primo bacio, “Someday”, lui l’aveva presa, seduta sul tavolo della cucina e baciata, tutto talmente in fretta che lei quasi non aveva avuto il tempo di accorgersi cosa stava succedendo.
Il “scimmione”, come Gabriele l’aveva definito, si girò appena verso di lei per salutarla, e subito la macchina riprese la corsa verso quello che doveva essere, secondo le indicazione dell’autista imbranato di prima, Mantova.
Dopo un quarto d’ora accostarono all’albergo “
I Gonzaga”, abbastanza ovvio come nome pensò Laura. 


Assieme a lei scese anche Gabriele, la voleva accompagnare dentro per assicurarsi che tutto fosse a posto. Arrivati alla reception la ragazza seppe cavarsela brillantemente col pernottamento, forse anche perchè quella era una settimana come tante altre, non c’erano particolari festività di mezzo, nè tanto meno ponti.
“Bene... Grazie per il passaggio allora! Una volta tanto mi sei stato utile!” “Ma come? Non mi chiedi di salire?”

Brigitta Destro

martedì 26 febbraio 2013

9_"Al lamallo velde"


Giulio si sentì terribilmente solo.
Percepiva distintamente i demoni del rimpianto e della disperazione che lo stavano raggiungendo per rapirlo, conosceva bene quei due esseri e sapeva qual’era l’unica cosa che avrebbe potuto fare per sopportare la loro presenza senza impazzire: bere!
Decise di continuare a camminare nella stessa direzione di Laura pur tenendosi a distanza, non voleva che lei pensasse che la stesse seguendo, non avrebbe sopportato un altro sfogo da ragazzina isterica.
Camminando però non poté fare a meno che ripensare a quello strano incontro e chiedersi perché lui si fosse aperto così tanto con lei e in così poco tempo; le aveva raccontato parte degli avvenimenti che avevano segnato la sua vita e lei in cambio, gli aveva urlato di tutto… certo quel brutto incidente proprio non ci voleva ma che colpa ne aveva lui se chi veniva in senso opposto guidava come al  gran premio di Montecarlo?
“Ragazzetta ingrata…ingrata e fastidiosa” pensò, eppure non riuscì a eliminarla dai suoi pensieri fino a quando non trovò una vecchio osteria che dava sulla strada.
“Al ramarro verde” lesse a bassa voce pensando che fosse un nome strano, una volta entrato pensò che probabilmente nessuno dei gestori sapeva pronunciare il nome del loro locale correttamente: erano tutti cinesi.
“Al lamallo verde… anzi no, al lamallo velde” si corresse mentalmente e con un cenno di saluto rivolto al cameriere si sedette ad un tavolo.




I demoni che si portava dietro e che poteva distintamente vedere sulla soglia dell’osteria lo controllavano a vista ma sapevano che, una volta davanti ad un bicchiere di un qualsiasi intruglio alcolico, loro non potevano dargli più fastidio, così, in quelle occasioni, aspettavano sempre che venisse cacciato fuori per ubriachezza molesta e che smaltisse la sbornia prima di tornare a tormentarlo. Anche per degli spettri interiori le energie vanno risparmiate!
Giulio ordinò da bere indicando una cosa a caso sul listino degli alcolici, appoggiò la testa alla mano e il braccio al tavolo, si sentiva ancora una volta una persona sconfitta.
Non aveva più amici da ormai un sacco di tempo e la solitudine lo aveva scavato rendendolo insicuro e ancora più goffo di quello che già era, invidiava molto quegli uomini d’affari tutti d’un pezzo che, come quello che stava entrando ora, sprigionavano sicurezza da tutti i pori.
“Due caffè ristretti in tazza grande grazie!” ordinò con voce sicura il giovane in giacca e cravatta che entrò al Ramarro verde, parlava con un uomo più grande di lui di età e di corporatura, l’altro ascoltava pazientemente senza perdersi un gesto del ragazzo rispondendo solo quando quest’ultimo gli dava la possibilità di farlo.
I demoni di Giulio fissavano questi due uomini e poi sorridendo tornavano a guardarlo come per sfotterlo leggendogli nella mente tutta la sua invidia.
Chissà cosa ci stavano facendo li quei due personaggi fin troppo eleganti che stonavano visibilmente con la vecchia tappezzeria del locale, “ecco qui a lei!” finalmente arrivò il drink che aveva ordinato e lo accolse con un sospiro di sollievo, alzò la testa sorridendo a sua volta alzando la mano con il bicchiere in direzione dei suoi tormenti, ogni tanto gli piaceva prendersi qualche piccola rivincita.
“Alla salute buon uomo!” Giulio non si rese conto che mentre compiva quel gesto sciocco, il giovane incravattato stava guardando nella sua direzione e vistolo gli rispose al volo.
Gli capitava di confondere la realtà con il suo cupo mondo di spettri personali ma quella volta l’aveva combinata grossa, non aveva proprio voglia di relazioni interpersonali eppure i due gli si stavano avvicinando. “Possiamo dare una letta al giornale?” “Giornale?” pensò Giulio guardando il tavolo “oh si certo!” rispose notando che aveva inavvertitamente appoggiato il gomito proprio sopra ad un giornale senza neppure notarlo.
Giulio lo osservò per bene dal fondo del bicchiere mentre stava bevendo e notò una scritta sul suo fermacravatta dorato: Armani; pensò “questo qui si che deve godersi la vita! Beh io bevo… alla faccia vostra brutti stronzi…” non fece in tempo a posare il bicchiere che entrò un altro uomo decisamente più grasso ma sempre elegantissimo e, con uno strano luccichio che gli balenava tra le labbra, chiamò a gran voce: ”Signore è arrivata la chiamata dobbiamo partire subito!”.
Il giovane fece cadere il giornale su di un tavolo con noncuranza mentre l’altro lasciava una banconota sul bancone del tavolo, uscirono in gran fretta oltrepassando i suoi demoni che, come ologrammi, si scomposero a metà per poi ricomporsi come nulla fosse, in fondo erano figure ben visibili e palpabili solo nella testa e nel passato di Giulio.

Michele Brugiolo

martedì 12 febbraio 2013

8_ Into The Wild


Ora era facile arrivare alla conclusione del perché fosse stato sbattuto dentro, tutta stava se credergli o meno, ma anche partendo dal presupposto di fidarsi e decidendo di non metterlo ancora una volta nei casini (ma quanta sfiga aveva intorno quell’uomo?) solo una era la cosa da fare, allontanarsi da lui (soprattutto dal momento in cui di altra sfortuna, Laura, non ne aveva bisogno).
“Ok, mi sa che ho capito cosa è successo poi… mi sa anche che sia meglio se ci lasciamo qui, anche perché avrai le tue belle grane da risolvere già con l’incidente e, giustificare la mia presenza a bordo della tua auto non sarebbe tanto facile… poi, senza offesa, ma era di un passaggio che avevo bisogno e per poco non ci ho rimesso le penne. È il caso di salutarsi qui.” “Sì, io ritorno all’auto… Cercherò di fermare la prima macchina che passa per strada, il mio cellulare è morto, gli si è scaricata la batteria diverse ore fa… a proposito, tu ce l’hai? Me lo puoi mica prestare?” “No, se avessi avuto un cellulare con me, ti assicuro che a quest’ora saresti già al fresco!” “Mi sento uno stronzo a lasciarti così, dopo l’incidente che ci è successo... per di più scalza… ma, non so proprio che altro fare e immagino che la mia compagnia anche a te non risulti più tanto gradita e ti sarebbe solo un peso… Tieni il tuo zaino! Allora… Addio?!?” “Direi proprio di sì… Addio e buona fortuna!”
Detto questo, Laura prese lo zaino e cominciò a rovistarci dentro, ricordava bene, ecco infatti spuntare fuori un paio di calzini pesanti, se li mise, si girò verso l’uomo e si salutarono per l’ultima volta, fece pochi passi nella direzione opposta a quella di lui che quasi subito gli urlò contro: “Ehi… Mi sai dire dove siamo? Non ho la minima idea di dove andare…”. Non si era resa conto di aver pronunciato quella domanda tanto spontaneamente le erano uscite di  bocca le parole, ma appena vide lui che le stava prestando attenzione, si sentì come morire, si vergognava a tal punto di fare la figura di quella che non era in grado di badare a sé, di non essere sufficientemente indipendente che il cuore le aveva preso a battere talmente forte da sentirlo in gola.
“L’ultimo paese che abbiamo passato era Governolo, ma dubito tu lo conosca. Stavo andando verso Mantova, mancheranno una quindicina di chilometri per arrivarci… Forse è il caso che ritorni con me verso la strada e chiedi passaggio a qualcun altro.” “Scusa, ma allora perché mi hai portata fino a qui, in mezzo al nulla? E poi… che persona sana di mente potrebbe farmi salire in macchina presa così, di notte e, anche se fosse, sai domande che mi farebbe? Poi magari passando vedrebbe anche la tua macchina fuori strada e potrebbe pensare chissà cosa… boh… penso di camminare un po’ e intanto cercare di schiarirmi le idee… almeno adesso so più o meno dove sono. Ciao.” “Avevi perso i sensi e mi ero spaventato, sei una ragazzina, non ci conosciamo ed io sono da poco uscito di galera… volevo solo evitare di venire, ancora una volta, incolpato di qualcosa che non ho fatto… Laura, buona fortuna!” “Grazie, mi sa che ne avrò bisogno.”.
Arrivata alla strada dove poco prima quel tale che le stava dando un passaggio aveva sbandato,  Laura decise di proseguire il cammino seguendo lo sterrato a fianco del fossato che costeggiava la strada, non le andava che qualcuno, passando in macchina, la vedesse, men che meno rischiare di finirci sotto a quella macchina.
Mentre camminava aveva iniziato a credere che il fatto di partire all'avventura in quel modo non era stata una delle sue scelte più geniali, forse aveva visto troppi film e ritrovarsi in una situazione tanto grottesca, idiota e insensata senza sapere cosa fare e con una fortissima tentazione di chiamare casa e farsi venire a prendere dall’ “amata” madre, la mandava fuori di sé. Possibile, con tutta la gente che poteva darle un passaggio l’unico coglione a fermarsi era un incapace e per di più di una sfiga mortale? Altro che Into the wild,  Into the shit



Per lo meno era stata previdente nel portarsi dietro tutti i risparmi che aveva racimolato
quell'estate.
Laura aveva sempre avuto una particolare attitudine con le lingue e quindi appena laureata la sua relatrice le aveva trovato un lavoro come traduttrice per una famosa casa editrice torinese lavoro che sbrigava da casa [scusate la cacofonia tra ice-ice e casa –casa, ndr], e che le garantiva una buona entrata economica. Soffrendo d’insonnia, questo lavoro era solita sbrigarlo la notte e avendo la giornata libera aveva deciso di impartire qualche ripetizione a ragazzini di medie e superiori e proprio quel lavoro da “insegnante” era stata l’altro fondamentale motivo scatenante di quella fuga. Più precisamente quel motivo si chiamava Gabriele e vestiva solo completi Armani, faceva il banchiere ed era per lei, l’uomo più affascinante che avesse mai conosciuto.

Brigitta Destro

martedì 5 febbraio 2013

7_Il dente d'oro


“Venerdì 9 aprile 2010 cielo parzialmente nuvoloso per presenza di velature con tendenza all'intensificazione della nuvolosità nel  tardo pomeriggio/sera.
Giulio, suo marito, era appena uscito di casa per recarsi al lavoro e, Lorenza, si stava freneticamente preparando per recarsi al suo.
Mentre trangugiava una banana ancora visibilmente acerba con la bocca piena di caffè amaro si truccava alla buona (evitava il più possibile di farlo perché questo le ricordava la madre sempre imbellettata e vestita come se un principe azzurro avesse dovuto rapirla da un momento all’altro, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno!).
Amava il suo nuovo lavoro, entrare in quella vecchia libreria di paese con tutti quei libri in disordine da sistemare, spolverare e consigliare. Adorava il loro odore e, sorridendo, spesso pensava che avrebbe dovuto trovare il modo per convogliare quella fragranza in un profumo dandogli magari un nome francese tipo “Eau de culture”.
Pur non essendo una grande mangiatrice, i libri che preferiva sfogliare nei momenti di pausa a lavoro erano quelli di cucina, adorava come la commistione di una semplice lista di ingredienti potesse miracolosamente animarsi nella sua testa per dar forma a quella pietanza così artificiosamente resa nella foto sottostante; li vedeva danzare su di un tavolo, volteggiare sopra le pentole per poi cuocere allegramente su fornelli dalle fiamme fucsia. Purtroppo però tutte le sue ricette avevano sempre lo stesso profumo: carta stampata.
Le giornate volavano veloci come la sua fantasia e pure quella non fece eccezione, alle 16 in punto, dopo aver salutato i suoi amati tomi, si diresse a passo sicuro verso l’uscita della libreria.
Chiuse la porta alle sue spalle salutando il proprietario con un gesto della mano e si mise a cercare nella borsa le chiavi del lucchetto della bicicletta.
“Dovrebbero inventare delle chiavi che galleggino all’interno delle borse, è mai possibile che riescano sempre a infilarsi nei meandri più oscuri e irraggiun…” un dolore molto forte alla spalla fermò la sua riflessione a denti stretti, si ritrovò a terra con gli occhi impolverati, li strofinò con vigore per vedere poi che un ladro stava scappando con la sua borsetta in mano.
Presa da una rabbia cieca si alzò di scatto mettendosi a correre come una forsennata per raggiungerlo, lei era allenata e quel malvivente sembrava un po’ troppo grosso per poterle sfuggire agilmente. Nonostante questa considerazione le sembrò che l’uomo stesse correndo ben al di sotto delle sue possibilità, quasi come se volesse essere raggiunto… non fece più di tanto caso a questo pensiero e si concentrò solamente nella corsa, ormai le mancava poco per raggiungerlo (ringraziò sé stessa per aver deciso di andare a lavoro in bicicletta e di aver quindi scelto calzature consone), il ladro svoltò bruscamente in un vicolo ma Lorenza non si fece fregare usando tutta la sua agilità per cambiare direzione, superò una serie di cassonetti e… si ritrovò l’uomo incappucciato con un passamontagna nero davanti… e non era solo.
In quel vicolo di quartiere dimenticato anche dai suoi stessi abitanti c’erano altri 2 uomini dal volto coperto ed una macchina bianca della quale non riconobbe la marca.
Senza battere ciglio il ladro gettò la borsa all’interno del bagagliaio della macchina e incominciò minacciosamente ad avanzare verso di lei.
Lorenza realizzò allora che il vero bersaglio dei malviventi non era la borsetta, ma lei! 
Che stupida era stata, doveva capirlo che quell'uomo non stava scappando ma semplicemente si stava facendo seguire allontanandosi dal centro abitato. Probabilmente sapevano chi era e da che famiglia proveniva potevano essere operai licenziati dal padre che volevano vendicarsi (aveva sentito parlare di situazioni di tensione tra i sindacati e i dirigenti della ditta del padre per i tagli al personale durante un TG regionale quella settimana), non poteva nemmeno escludere totalmente che fossero professionisti di rapimenti e che l’avessero adocchiata semplicemente perché era una bella donna pur senza sapere che gallina dalle uova d’oro fosse.
Tutti questi pensieri vennero increspati come uno stagno nel quale viene gettato un sasso dalla voce dell’autista della macchina, l’unico a essere seduto in macchina, a non essere mascherato e ad indossare abiti normali, anzi, da uomo d’affari. Disse attraverso il finestrino abbassato con voce bassa e cavernosa (probabilmente amplificata dallo stretto vicolo in cui lei stupidamente era andata ad infilarsi): “Due sono le cose… o vieni con noi senza fare storie e senza farti male, oppure provi a scappare e urlare… anche in questo secondo caso verrai con noi ma saremo costretti a farti del male… e a noi piace  molto fare del male… quindi ti prego, urla e prova a scappare!”
Gli altri uomini si guardavano tra di loro mutando l’inespressività dei volti coperti dai passamontagna in grottesche maschere sorridenti, ma solo il ladro che l’aveva scippata sorrideva con i denti e, Lorenza non riuscì a non notarlo, l’oro di uno dei suoi denti stava benissimo accanto al nero cupo del passamontagna e di tutta quella stramaledetta situazione.



Non disse nulla, semplicemente chinò la testa e, capendo l’impossibilità di fuggire, decise di entrare in macchina tra gli sguardi delusi dei malviventi, prima di salire però fissò con aria di sfida l’uomo con il dente d’oro per diversi secondi, questo le procurò un attimo di distrazione generale che le diede la possibilità di far lentamente scivolare il suo braccialetto di legno nero lucido per terra, ma le procurò anche un ceffone in pieno volto e le risate sadiche dei suoi rapitori.

Michele Brugiolo

martedì 29 gennaio 2013

6_ Polesine

“Tu non sai ancora il mio nome, com’è che non me lo chiedi?” “Se è per questo anche tu non hai ancora chiesto il mio…” “Già, abbiamo saltato le presentazioni quando sei salita in macchina. Sono Giulio, piacere!” e dicendolo le tese la mano, lei gliel’afferrò in una stretta piuttosto energica, qualcuno, fin da quand’era piccola, le aveva insegnato che si faceva così, che bisognava stringere forte.
“Mi chiamo Laura e il mio non è molto un piacere!” “Eh… Non posso darti torto, Laura” passò qualche secondo prima che l’uomo riprendesse a parlare “Bene, ora che ci conosciamo, ora che è successo il casino che è successo e dovendo decidere, assieme, sul da farsi, penso sia giusto spiegarti alcune cose…
Diversi anni fa, un po’ com’è successo stasera con te, avevo offerto un passaggio ad una ragazza, anzi inizialmente mi ero fermato a soccorrerla, perché l’avevo vista cadere. Aveva appena cominciato a piovere e lei, bellissima mi piomba in auto e mi chiede se potessi offrirle riparo per qualche minuto che presto qualcuno sarebbe venuto a prenderla. Ricordo come fosse ieri quel giorno. Ad un certo punto mi strilla di portarla via di lì, di correre lontano ed io intanto non sapevo cosa fare, lei piangeva, piangeva disperata… Metto in moto la macchina e prendiamo a girovagare senza una meta precisa, un po’ alla volta ritorna in sé e comincia a raccontarmi la sua storia e di come si sentisse oppressa da quella vita che non le apparteneva.” Giulio interruppe per qualche momento il racconto, chiuse gli occhi come a ripercorrere meglio quel passato che stava raccontando, quasi come lo stesse vedendo dal di fuori. Laura d’altro canto aveva cominciato a spaventarsi, immaginava che quel tale andasse alla ricerca di ragazzine da caricare in macchina, violentare ed ammazzare dopo ore di lunghe torture ed ora non aveva neanche più il coltello fra le mani, con un filo di voce gli chiese: “Perché mi stai raccontando questo?” “Non ti spaventare… ti spiego tutto, è che è così… cioè… questo incidente proprio non mi ci voleva… vedi… ora non trarre conclusioni affrettate, ma… è non è nemmeno un anno che sono uscito di carcereCarcere?!? Aveva capito bene? Laura non sapeva che fare, era pietrificata, voleva scappare, ma non ce la faceva a muoversi, mentre lui parlava lei pensava che le sue paure erano fondate, pensava a cosa fare nel caso in cui le si fosse avvicinato “un calcio alle palle, sì, è l’unica cosa che posso fare…”.
L’uomo riprese a parlare, pur sapendo che ormai lei era terrorizzata da lui, dalla storia che aveva raccontato fino a quel momento, e che anche spigandole i fatti com’erano andati veramente, era praticamente impossibile che lei gli credesse. Era spacciato, sarebbe finito di nuovo al fresco. Ingiustamente, ancora.


“Ti dicevo, andando per ordine… Quella donna, Lorenza, di lì a pochi mesi, sarebbe diventata mia moglie. Mi pareva impossibile che una donna tanto bella e intelligente e dolce, in gamba… era meravigliosa… potesse volere me, si fosse innamorata di questo bizzarro uomo, per niente attraente… eppure così è andata, strana la vita a volte, eh?  Ma come si dice, quello che ti viene dato, poi ti viene anche ripreso e la maggior parte delle volte con tanto di interessi.
Lorenza era l’unica figlia di una ricca famiglia del Ferrarese, l’azienda del padre era una fra le maggiori fabbriche nel settore del siderurgico in Italia ed io, un povero insegnante di chimica in un istituto tecnico di un piccolo paese del Polesine, potrai ben immaginare la gioia con cui mi hanno accolto in quella Casa.


E Lorenza che di quella vita non ne poteva più. Appena sposati decise di tagliare completamente i rapporti con i suoi genitori, preferiva una vita, ai miei occhi… mediocre. Ma per lei non era così, era felice di quel poco che potevo offrirle, era felice se ogni tanto la portavo fuori in laguna quando andavo a pesca… 


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lei se ne stava lì distesa a prendere il sole, su quella barchetta scassata, a leggere i suoi libri, spesso 
in inglese, voleva tenere allenata la lingua perchè “non si sa mai…”, alternandoli a qualche rivista da femmina. 

Era felice di andarsene in giro in bici, sbrigare qualche commissione, amava il lavoro in quella piccola libreria di paese, le piaceva cucinare, prendersi cura di cose semplici, forse banali. Ma non è così scontato, per chi, come lei, non ha mai avuto la possibilità di fare qualcosa di diverso da quello che le si imponeva. 
Bando alle ciance, sto divagando… un giorno di Aprile, era un venerdì, venerdì nove di tre anni fa, per l’esattezza, rientro a casa da lavoro, erano le sei di sera, mi ero fermato a scuola anche nel pomeriggio, perché c’era stata un’assemblea… e lei non c’era. Così su due piedi ho pensato che fosse andata a correre, faceva jogging quasi tutte le sere e quella sera era particolarmente calda per essere l’inizio di Aprile. Da quel momento in poi non l’ho più vista, Lorenza è sparita.”

Brigitta Destro